“Mio eroe” di e con Giuliana Musso
Andato in scena l'11 marzo 2018 all’Auditorium Comunale Centro Civico Hermann Zotti di San Vito al Tagliamento (PN)
Lorenzo Mucci_14 marzo 2018
Con Mio eroe, spettacolo vincitore del Premio Cassino Off 2017, Giuliana Musso riconferma l’originalità e l’incisività di una scrittura drammaturgica e di un progetto teatrale che coniugano l’intima adesione al vissuto dei personaggi con la tensione politico-civile che anima il cuore e la mente delle protagoniste dei suoi drammi, come nel caso delle tre madri dei giovani figli partecipanti alla “missione di pace” in Afghanistan, due dei quali caduti nel corso delle operazioni militari e commemorati come eroi nei funerali di Stato. Ciascuna delle tre donne monologanti di Mio eroe dà la propria versione dell’eroismo dei figli, fondata, oltre che sull’affetto materno, sulla conoscenza delle reali motivazioni umanitarie che li hanno spinti a rischiare la vita in una terra martoriata da incessanti conflitti; una versione che prende le distanze dalle narrazioni mediatiche e dalla retorica istituzionale, mettendone in discussione la “logica” irrazionale e distruttiva che la Musso attribuisce ad un’atavica tradizione patriarcale.
Anna, Giordana e Laura rievocano passaggi significativi dell’infanzia e della giovinezza dei cari Mauro, Stefano e Miki mitigando lo strazio della perdita col conforto della memoria mentre ricostruiscono le circostanze della loro scomparsa (reale o presunta) che ha determinato in loro un trauma irreversibile. Confidandosi al pubblico e rendendolo testimone del mutamento radicale da cui sono state investite, le tre madri si pongono interrogativi determinanti sul loro dolore, su ciò che è accaduto e sul senso dell’esistenzatout court, ciascuna alla luce del proprio orizzonte culturale. Anna approfondisce e riscopre la propria religiosità, compenetrandosi del dolore di Maria per Cristo morto sulla croce e considerando la presenza immanente della scintilla divina in tutte le manifestazioni del creato più che nella simbologia canonica (per lei tutti i giovani figli che si uccidono in guerra non possono finire all’Inferno…); Giordana dà libero sfogo al suo spirito laico di lucida critica del reale e disincantata autoironia alimentando la coscienza politica dell’aberrazione e assurdità della guerra; Laura, insegnante di radicate convinzioni pacifiste, rimette in discussione l’educazione data al figlio, troppo accondiscendente al culto di eroi e battaglie coltivato in innumerevoli letture e giochi infantili.
Alle doti di autrice Giuliana Musso, a cui nel 2017 è stato assegnato il Premio Hystrio per la drammaturgia, affianca quelle di attrice (oltre che di regista), in primis esprimendo una qualità di presenza scenica che va oltre la semplice interpretazione del personaggio; nel suo mettersi in gioco ogni sera in un vibrante e aperto confronto col pubblico la Musso attribuisce allo spettacolo il carattere di rito collettivo che, nella miglior tradizione del teatro di ricerca novecentesco, vuole porsi come evento di coinvolgimento necessario e totale, in grado di scuotere le coscienze e l’animo degli spettatori immettendoli nel cuore pulsante delle problematiche affrontate. Con estrema naturalezza, delicatezza e autenticità Giuliana Musso aderisce alle sue creature femminili accentuando in Anna e Giordana la caratterizzazione popolaresca sia mimica che verbale (attraverso l’inflessione dialettale) restituendoci un vivo ritratto, nel primo caso, di una tipica donna veneta umile e dimessa, nel secondo di un’emiliana sanguigna e rabbiosamente contestatrice. Mirabile poi il difficile equilibrio che la Musso sa tenere tra l’effusione del dolore delle tre donne, sempre pudicamente contenuto in pause silenziose o furtivi gesti (quasi a ritrarsi dal contatto con un fondo di insostenibile pena), e il bisogno di confessarsi che trapassa impercettibilmente in gusto della narrazione; uno sprigionarsi di pura energia femminile che dopo aver messo al mondo maternamente le proprie creature dona loro rinnovata vita offrendole al pubblico con un atto di devozione totale del proprio essere.
Dopo il racconto della vita e della morte dei propri figli da parte di Anna e Giordana, lo spettacolo si chiude, non casualmente, con la commemorazione da parte di Laura (la madre che ha potuto riabbracciare il figlio creduto morto provando la stessa sensazione di quando lo vide appena nato), dei due giovani caduti Mauro e Stefano, rappresentati simbolicamente da due violoncelli, lo strumento che Miki ha abbandonato dopo dieci anni di studio poco prima di arruolarsi nell’esercito, e le cui dolci e struggenti melodie, eseguite da Andrea Musto, hanno intervallato e a tratti accompagnato le narrazioni delle tre donne: un rito al tempo stesso artistico e civile che tende a travalicare l’illusione rappresentativa per avvicinarsi ad una cerimonia collettiva, virtualmente esperibile fuori dalla sala teatrale e simbolicamente inclusiva di tutti i caduti di guerra assurdamente sacrificati
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